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20 marzo 2024
Aggiornata il 31 dicembre 2024
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In questo articolo voglio affrontare assieme a te una piccola "avventura". Una ricerca segnata da qualche ipotesi e da un pizzico di "farina di sogni".
Il motivo? Questo articolo contiene più domande che risposte.
Credo che porsi domande sia fondamentale per dare un senso alla nostra vita. Trovare risposte è ovviamente importante, ma con la consapevolezza che le risposte che troviamo non devono essere vissute come degli assoluti, ma solo come punto di partenza per porre altre domande o approfondire le risposte alla domanda da cui si è partiti.
Il lavoro che io e le persone che collaborano alla realizzazione della rivista e che mi aiutano nella mia ricerca non vuole essere e non è mai una risposta "definitiva", assoluta. Ma anzi, vuole essere una risposta volta a stimolare nuove domande e volta a mettere costantemente in discussione le conoscenze acquisite.
Per me Spiralis Mirabilis non è, quindi, una sorta di "verità assoluta" attraverso la quale diffondere il mio pensiero. Anzi, tutto il contrario. Il progetto di Spiralis Mirabilis ha lo scopo di essere punto di incontro e scambio di punti di vista molteplici e di affrontare attraverso il metodo storico la cultura tradizionale cinese e le arti marziali tradizionali cinesi.
Questa rivista che leggi in formato digitale o cartaceo non si pone nell’ottica che ciò che contiene è giusto e tutto il resto non lo è. Si pone l’obiettivo di stimolare la tua curiosità, di stimolare la tua voglia di approfondire quel mondo che ha creato l’humus perché le arti marziali (cinesi) potessero nascere ed evolvere.
Questo articolo contiene una sorta di "indagine" (che non è affatto conclusa e non so se lo sarà mai) su un mistero.
Un'indagine sul mistero dell’origine di un simbolo e di un nome che oggi permea tanto la cultura occidentale quanto quella orientale: il 太極圖 tàijítú e di conseguenza, il concetto espresso dalla parola 太極 tàijí.
Taiji è una parola che non è facilmente traducibile in lingua italiana. Alcuni sinologi la traducono come "suprema ultimità", altri come "realtà ultima", "ultima verità" o "principio supremo".
Se vogliamo ricercare un concetto simile nella cultura occidentale a quello espresso dalla parola Taiji possiamo accostarlo al concetto filosofico dell’Assoluto.
È importante sottolineare come il concetto espresso dalla parola Taiji integra le tradizioni di auto-coltivazione del confucianesimo, del buddismo e del daoismo. Dimostrandosi qualcosa di trasversale nella cultura cinese e non di esclusiva pertinenza di una singola tradizione come, invece, spesso erroneamente avviene in Occidente associandolo al daoismo.
Oggi il Taijitu appare praticamente ovunque. Lo si indossa su magliette, lo si usa come ciondolo per collanine e così via. Spesso lo si usa senza conoscerne il significato e, soprattutto, senza conoscere la cultura che lo ha prodotto.
Il primo aspetto da considerare è l’origine della parola Taiji. Le prime testimonianze scritte di questa sono contenute in due libri molto antichi. Nello 莊子 zhuāngzi (risalente al IV secolo a.C.), nel capitolo interno 大宗師 dà zōngshī è scritto: 在太極之先而不為高 zài tàijí zhī xiān ér bù wéi gāo.
Anche nello 繫辭 xìcí, un libro di commenti allo 易经 yìjīng, appare nella frase: 是故,易有太極,是生兩儀,兩儀生四象 shì gù, yì yǒu tàijí, shì shēng liǎng yí, liǎng yí shēng sì xiàng.
Perché citare un commentario all’Yijing e non l’Yijing stesso?
La presenza della parola Taiji nel libro che per antonomasia è collegato a questa parola, cioè l’Yijing, non è totalmente certa.
Il motivo è che nella versione dell'Yijing trovata nel ritrovamento dello scavo della tomba di 馬王堆 mǎwángduī (leggi a tal proposito l'articolo "La Signora di Dai") è utilizzata la parola 大恆 dàhéng, cioè grande permanenza, al posto della parola Taiji.
Il libro dello Yijing è considerato uno dei cinque classici del confucianesimo, noti come 五經 wǔjīng.
Elemento che ci permette di capire come il concetto della parola Taiji sia stato trasversale fin da quando la parola è apparsa.
La parola Taiji non appare in nessuna versione oggi a nostra disposizione del 道德經 dàodéjīng, il testo di riferimento per qualsiasi studioso di daoismo.
Secondo lo 漢書 hànshū (il libro degli Han), suggerisce che il termine "comprende il Tre in Uno" con un riferimento (forse) alla casa 42 del Daodejing.
Altre interpretazioni vedono nella casa 25 una descrizione che potrebbe essere vista come un’indicazione di uno stato come quello espresso dalla parola Taiji.
Allo stato attuale delle conoscenze non sappiamo quando il concetto di Taiji è stato associato in modo così forte al concetto di 道 dào, così come lo è oggi. Molto probabilmente questo è avvenuto quando il concetto di Taiji inizia a essere rappresentato graficamente attraverso il noto simbolo, il segno grafico, che lo rappresenta, il Taijitu.
La domanda che segue a questo punto è: quando appare per la prima volta nel corso della storia il simbolo del Taijitu?
È proprio da questa domanda che nasce l’avventura che ho voluto raccontare in questo articolo.
Un’avventura che inizia sulla soglia del museo archeologico di Susa (Sousse) in Tunisia.
Il museo si trova in una parte della casba della città. La casba nell’architettura islamica è una cittadella fortificata situata nella parte interna di una città, una città tipica della zona del Maghreb.
A Susa, il museo è ospitato all’interno di un grande edificio ottomano che risale al IX secolo. Fondato nel 1951, il museo contiene la più grande collezione di mosaici romani in Tunisia, dopo quella del Museo Nazionale del Bardo (il più importante museo della Tunisia).
Fra i mosaici più famosi del museo sono presenti il rapimento di Ganimede da parte di Zeus trasformato in aquila, il trionfo di Nettuno e una testa di Medusa, il cui sguardo ne richiama il potere ipnotico.
Il museo ospita anche una ampia collezione di mosaici di soglia, che spesso ritraggono soggetti apotropaici.
Gli antichi romani posizionavano sulle soglie d’ingresso delle abitazioni e, in taluni casi, anche dei singoli vani della casa, dei mosaici con soggetti apotropaici. I quali erano destinati a impedire agli spiriti maligni, alle forze ostili, di entrare nell’edificio o nella stanza.
Il mosaico che mi ha colpito più di tutti fra quelli conservati dal museo si trova in una delle sale principali del museo. Su una parete che costituisce un lato della sala che ospita la "protagonista" della sala: la testa di Medusa.
Si tratta di un mosaico che decorava la soglia di una domus collocata nella parte settentrionale della città antica di Hadrumetum (l’antico nome romano di Susa), che sappiamo essere stata distrutta nel 434 d.C. a causa di un’invasione dei Vandali.
Non ci sono dati precisi sullo scavo e non è facile proporre una datazione precisa su quando il mosaico è stato realizzato. Sta di fatto che sappiamo che quel mosaico è stato realizzato prima dell’invasione dei Vandali.
La principale differenza con il Taijitu e questo mosaico sta nel fatto che manca il pallino nero sul campo bianco e il pallino bianco sul campo nero.
Come è possibile? Siamo davanti a un caso di oggetto fuori dal tempo, cioè un OOPArt? Si tratta di un caso? Di una semplice coincidenza? Si tratta della possibile testimonianza di un contatto fra la cultura romana e la cultura cinese? O ancora più estrema come possibilità, si tratta di un indizio di un’origine occidentale di questo simbolo?
Come ha evidenziato Giuseppe Testa nel suo studio pubblicato per la Salerno Editrice "La peste antonina" e come ha sottolineato Jean-Noël Robert nel suo volume "Da Roma alla Cina", pubblicato da LEG edizioni Srl, le due superpotenze dell’antichità, l’Impero romano e l’Impero cinese, sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro.
A tutt’oggi non siamo in possesso di prove archeologiche che dimostrano contatti diretti fra i due "giganti", ma sappiamo che fra i due imperi avvenivano scambi commerciali "indiretti", in particolare attraverso l’impero Parto, per mezzo di mercanti che si spingevano oltre i confini di queste due superpotenze.
Quando appare il simbolo del Taijitu nella storia cinese? Un’altra domanda che va ad arricchire il mistero che stiamo indagando.
Con le conoscenze a nostra disposizione non è facile dare una risposta chiara e univoca a questa domanda. Fra i molti lavori accademici che ci hanno provato, forse, il lavoro più interessante è quello di François Louis, con il suo articolo "The Genesis of an Icon: The Taiji Diagram’s Early History", pubblicato nel giugno del 2003 sul magazine "Harvard Journal of Asiatic Studies".
Da cui emerge come alcuni studiosi hanno pensato di riconoscere i riferimenti al diagramma già in alcuni passaggi de l’Yijing.
Del diagramma però non abbiamo alcuna traccia nei testi della dinastia 漢 hàn (206 a.C. - 220 d.C.), delle Sei Dinastie (六朝 liùcháo 220 d.C.–589 d.C.) e della dinastia 唐 táng (618 d.C. -907 d.C.).
Sembra che durante la dinastia 宋 sòng (960 d.C. – 1279 d.C.) il simbolo del Taijitu appaia nei circoli daoisti. L’ipotesi è che fin dal X secolo il simbolo fosse stato trasmesso in segreto dagli alchimisti. Anche se su questo gli studiosi non sono del tutto d’accordo fra di loro. Oggi come in passato.
Ad esempio, nel 1690 il filosofo 胡渭 hú wèi (1633 - 1714) condusse uno degli studi più completi sulla storia dei diagrammi cosmologici. Nel suo lavoro accettò la tesi della trasmissione segreta del simbolo. Mentre lo studioso 張惠言 zhāng huìyán (1761 - 1802) riteneva la teoria della trasmissione segreta poco convincente.
François Louis nel suos tudio abbandona l’idea di una figura precisa a cui riconoscere la paternità del simbolo e un momento storico preciso. Con il suo lavoro sposta l’attenzione sul fatto che si è venuto a creare un ambiente culturale che creò le condizioni che permisero la nascita del simbolo del taijitu e la sua diffusione durante la dinastia 明 míng (1368 – 1644) e poi durante la successiva dinastia 清 qīng (1644 - 1911).
Le prove storiche a nostra disposizione ci indicano, infatti, che il simbolo del Taijitu appare durante la dinastia 明 míng e non prima. Ma è altrettanto chiaro che quest’ultimo non appare all’improvviso dal nulla. Il taijitu era sicuramente il frutto di un percorso culturale lungo diversi secoli.
Durante la dinastia Ming e la dinastia Qing, il nome e il disegno del simbolo differiscono da libro a libro, con piccole variazioni. L’iconografia di base, però, tende a rimane la stessa.
Fin dall’inizio della dinastia Ming (1368 – 1644) era diffuso uno schema grafico conosciuto con il nome 先天 xiāntiān, "sistema del cielo immortale".
Lo schema Xiantian vede rappresentati alcuni trigrammi presenti nell’Yijing allineati secondo uno schema a cerchio. Ogni trigramma è accoppiato con il proprio corrispettivo.
Le prime raffigurazioni di questo "cerchio" Xiantian non hanno mai incluso la "classica" rappresentazione del cerchio con i caratteristici vortici. Elemento che ha messo in crisi gli studiosi di questo tema.
La prima apparizione del Taijitu come lo conosciamo oggi avviene con l’opera 六書本義 liù shū běnyì, dell’erudito 趙㧑謙 zhào huīqiān (1351 - 1395).
Questa illustrazione è conosciuta come 天地自然河圖 tiāndì zìrán hé tú, "diagramma fluviale naturale del Cielo e della Terra".
Tra il IX e il XIV secolo è possibile ritrovare immagini di cerchi divisi in due metà da una linea a forma di "S" rovesciata. Ma questi non erano la rappresentazione di astrazioni di concetti cosmologici. Al contrario, si trattava di rappresentazioni del mondo fisico. Appaiono raramente da soli. Normalmente questi cerchi sono inseriti all’interno di immagini pittoriche più complesse. Erano usati per rappresentare il vento, un flusso d’aria, arricchire un paesaggio naturale e così via. Altro elemento interessante sono le differenze cromatiche e il fatto che la forma a vortice è spesso assente nelle illustrazioni di epoca Ming e di epoca Qing.
Fino al XII secolo circa, non abbiamo un’iconografia "standard". Fino a questo momento si era generalmente agito attraverso delle aggiunte esterne al cerchio. Come aureole fiammeggianti, animali mitologici, sfere e dischi fiammeggianti.
La conclusione più sorprendente che si pu&orave; trarre da questa storia (sintetica) del Taijitu è che i primi disegni circolari divisi in due metà interconnesse con due metà colorate e due metà antitetiche, non sembrano comparire prima del periodo Ming.
In altre parole. A oggi, quello che possiamo affermare è che il disegno del Taijitu che noi oggi conosciamo e che appare un po’ ovunque inizia a diffondersi sia in contesti decorativi che letterari solo a partire dal XVI secolo.
La nuova icona era il risultato dell’immagine vorticosa dell’energia che crea, mentre si fonde con il trigramma xiantiano in un unico diagramma cosmologico.
A questo punto per proseguire la nostra indagine la domanda successiva che dobbiamo porci è: esistono tracce di simboli simili al Taijitu in Occidente? E se sì quando appaiono?
La risposta alla prima domanda è sì (anche escludendo il mosaico di soglia ritrovato a Susa). Disponiamo, infatti, di un’opera chiamata "Notitia dignitatum et administrationum omnium tam civilium quam militarium".
Si tratta di un documento di cui non conosciamo l’autore e che gli studiosi datano a un periodo compreso tra la fine del IV secolo e l’inizio del regno dell’imperatore Valentiniano III (419 d.C. – 455 d.C).
C’è da sottolineare che l’edizione più antica che abbiamo a nostra disposizione di questo documento risale al Rinascimento e che non siamo in possesso dell’opera originale risalente al IV secolo. Gli studiosi dell’antichità classica sono però concordi nel ritenere le copie in nostro possesso pienamente fedeli al testo originario anche per quel che riguarda le figure, salvo alcune influenze nello stile "grafico" nell’esecuzione dei simboli (e non nel contenuto), tipico dell’epoca in cui i copisti hanno prodotto le copie.
Fra le copie a nostra disposizione della "Notitia" esiste un buon accordo sotto molteplici punti di vista, nonostante gli inevitabili problemi derivanti dalla tradizione manoscritta. L’iconografia in essi contenuta trova interessanti raffronti con esempi di arte antica e tardo romana.
La "Notitia dignitatum" è un documento che fornisce preziose informazioni su come era strutturata l’amministrazione dell’Impero romano tra la fine del IV secolo e l’inizio del V secolo d.C.
Di questa opera non conosciamo né l’autore né il luogo dove è stata compilata. Data però la ricchezza delle informazioni che contiene, gli studiosi ipotizzano che sia stata redatta da un alto funzionario dello Stato.
La "Notitia", quindi, va ritenuta un’opera scritta negli ambienti della burocrazia imperiale. Inoltre, come sottolinea Averil Cameron nel suo libro "Il tardo impero romano", edito da Il Mulino nel 1995, vista la storia composita di quest’opera, il testo va considerato più come un testo prescrittivo che come un testo descrittivo della reale organizzazione dello Stato romano.
Al di là del valore documentario per la ripartizione amministrativa e militare della tarda romanità, la "Notitia" offre un altro aspetto di notevole rilievo, attinente al campo del simbolismo metafisico-religioso e sapienziale.
Dallo studio dell’opera è possibile trarre una serie di informazioni che possono derivare dallo studio delle varie insegne, a quattro colori, giallo, azzurro, rosso e bianco, minuziosamente riportate al suo interno e attribuite ai diversi reparti dell’esercito imperiale.
La "Notitia dignitatum" contiene quasi trecento insegne dei distaccamenti militari del basso impero.
In questo antichissimo libro araldico si trovano molte cose che non corrispondono più alla concezione che si aveva durante l’antichità "classica" dell’Impero romano.
Lo storico delle religioni Franz Altheim si è soffermato a lungo sulle raffigurazioni delle insegne. Si riconoscono animali da tiro e ornamenti per i carri, usuali presso i popoli asiatici e dell’Europa orientale, oppure rune germaniche impiegate, secondo l’uso antico, come simboli e non come segni fonetici.
In uno di questi disegni compare Wodan, una divinità del pantheon anglosassone, che corrisponde al norreno Odino, in una forma che ricorda il divino portatore di lancia dei graffiti rocciosi di Bohuslan, del Gotland orientale e della Val Camonica.
Un simbolo antichissimo come la runa dell’alce, invece, si incontra nelle insegne di truppe illiriche o celtiche.
La maggior parte delle insegne si riferisce agli astri, soprattutto al sole e al suo corso. Sono stelle o dischi, che emettono raggi in ogni senso. Accanto ad essi vi sono disegni a forma di ruota, che ricordano segni corrispondenti nelle rocce graffite o la ruota celtica, indubitabile simbolo del sole.
Presso le truppe germaniche s’incontra la mezzaluna, legata al disco solare. Cerchi concentrici hanno analogo significato: anch’essi sono riprodotti sulle rocce della Scandinavia, presso i Celti e gli Illiri. La croce uncinata, anch’essa uno dei simboli tipici del sole, appare in molte varianti. Il simbolismo solare, nelle sue diverse espressioni, caratterizza quasi la metà delle insegne.
Cosa interessante è che Altheim non fa alcun accenno alla presenza di almeno un’insegna che raffigura un simbolo bicromo, giallo e rosso, graficamente del tutto simile al Taijitu della tradizione cinese, comprendente lo 陰 yīn e lo 陽 yáng appaiati, nero il primo e bianco il secondo, nella loro raffigurazione “dinamica”, espressa con rotazione in senso orario.
Tale insegna identificava li "Armigeri", cioè i reparti di fanteria dell’Impero romano d’Occidente, compresi nella sezione delle "Insignia viri illustris magistri peditum" (il capitolo V).
Accanto a questa insegna è presente nella stessa sezione un’altra raffigurazione assimilabile, invece, alla rappresentazione delloYin e dello Yang nella sua versione "statica", costituito da tre o più cerchi concentrici.
Ammettendo la validità storica di queste rappresentazioni grafiche, rimangono aperte varie ipotesi sul significato di questi simboli in Occidente e, soprattutto, sulla loro origine.
Trasmissione verticale esoterica? Diffusione orizzontale? Una semplice convergenza figurativa?
La studiosa francese Luce Boulnois, analizzando i contatti intercorsi tra Cina ed Europa nell’antichità classica ha scritto: "Per ciò che concerne i due grandi sistemi di pensiero cinesi, il confucianesimo e il taoismo, si può affermare che nemmeno una briciola ne fosse entrata in Occidente..., né oralmente, né per scritto... [non arrivò] nessuna idea tipicamente cinese, come il concetto fondamentale degli elementi complementari Yin e Yang".
Lo studioso Joseph Needham, esperto nei rapporti tra Cina e Occidente, propende nel ritenere che certe informazioni sul confucianesimo giunsero in Europa nei primi secoli dell’era volgare.
Sta di fatto che il simbolo che noi conosciamo come Taijitu appare nella sua forma più nota in Europa mille anni prima della prima rappresentazione dello stesso simbolo in Cina.
Lo studioso S. Mahdihassan nell'articolo Comparing Yin-Yang, the Chinese symbol of creation, with Ouroboros of Greek alchemy, invece, fa riferimento a possibili contatti tra il mondo alessandrino e gli alchimisti cinesi, suppone che l’uroboros, il serpente di due colori che si morde la coda, sia un analogo del binomio Yin e Yang o, meglio, esprima la stessa idea raffigurata dalla iconografia cinese con questo simbolo.
È poco rilevante sapere se il reparto degli "Armigeri" o quello dei "Thebei", portasse, di fatto, le insegne con lo Yin e lo Yang, anche se è verosimile che ciò avvenisse, dato il significato sacrale, o quanto meno, magico che doveva possedere.
Bisognerebbe indagare se i decoratori, che lavorarono sul testo, si basarono su dati certi, provenienti dall’esercito, come è molto probabile, o se la definizione iconografica veniva decisa talora in ambito burocratico per differenziare le truppe.
Comunque fosse, la cosa importante è che nell’ambito dell’élite imperiale occidentale il simbolo che noi conosciamo come Taijitu era noto e che questa potrebbe essere la prova di un contatto fra le due culture. Quale delle due abbia influenzata l’altra, però, non ci è dato saperlo.
Dischi solari e rune facevano ampiamente parte del patrimonio "culturale" dell’antico Occidente e il fatto di trovarli fra le insegne militari è qualcosa di "naturale". Mentre la presenza di un simbolo identico alla classica rappresentazione dello Yin e dello Yang appare "uscito dal nulla", fatto salvo per alcuni ritrovamenti, come il mosaico di soglia di epoca romana ritrovato a Susa in Tunisia.
Probabilmente questo mistero è destinato a rimanere tale (salvo future scoperte archeologiche).
Il simbolo del Taijitu è nato in Europa e poi è arrivato in Cina? È avvenuto il contrario? Oppure siamo davanti a una convergenza storica? In due zone geografiche del pianeta, lo stesso simbolo è stato elaborato in modo del tutto indipendente?
Quello che possiamo affermare è che il simbolo che noi oggi conosciamo come Taijitu è antico, ma che solo negli ultimi 500 anni circa è stato associato al principio espresso dalla parola Taiji e a sua volta che ciò che esprime la parola Taiji si è legata al mondo del daoismo.
Anche per questo motivo le indicazioni storiografiche, che oggi possediamo, che indicano che il nome della disciplina marziale del 太極拳 tàijí quán appare sul finire del Settecento sono abbastanza "credibili". Considerando che solo appena due secoli prima il termine assumeva la connotazione moderna che lo caratterizza.
Non rimane che continuare a indagare, a porci domande, con un un’unica e sola certezza: essere consapevoli che di certezze non ne abbiamo.
Non possediamo documenti che ci permettano di affermare con certezza, il quando, il come, nella storia del daoismo appare il simbolo del Taijitu e, di conseguenza, quando il concetto di Taiji diventa un concetto "univoco" del daoismo e quando questo si fonde con la disciplina marziale che oggi conosciamo con 太極拳 tàijí quán.
La riflessione contenuta in questo articolo mi auguro possa essere uno dei molteplici motivi per cui, oggi, affermare cosa è "originale" e cosa no, cosa è "vero" e cosa no, va sempre fatto con i dovuti distinguo e con molta prudenza. Non possediamo alcuna prova storica e archeologica talmente certa, chiara, assoluta, inoppugnabile, da poter affermare "io sono portatore (o portatrice) della verità".
Pratica la tua conoscenza.
實踐真知
shíjiàn zhēnzhī
Francesco Russo
NOTE SULLA TRASCRIZIONE FONETICA
Le parole in lingua cinese quando appaiono per la prima volta sono riportate in cinese tradizionale con la traslitterazione fonetica. A partire dalla seconda volta, la parola è riportata con il solo pinyin senza indicazioni degli accenti per favorire una maggiore fluidità della lettura dei testi.
BREVE PROFILO DELL'AUTORE
Francesco Russo, consulente di marketing, è specializzato in consulenze in materia di "economia della distrazione".
Nato e cresciuto a Venezia oggi vive in Riviera del Brenta. Ha praticato per molti anni kick boxing raggiungendo il grado di "cintura blu". Dopo delle brevi esperienze nel mondo del karate e del gong fu, ha iniziato a praticare Taiji Quan (太極拳tàijí quán).
Dopo alcuni anni di studio dello stile Yang (楊式yáng shì) ha scelto di studiare lo stile Chen (陳式chén shì).
Oggi studia, pratica e insegna il Taiji Quan stile Chen (陳式太極拳Chén shì tàijí quán), il Qi Gong (氣功Qì gōng) e il DaoYin (導引dǎoyǐn) nella propria scuola di arti marziali tradizionali cinesi Drago Azzurro.
Per comprendere meglio l'arte marziale del Taiji Quan (太極拳tàijí quán) si è dedicato allo studio della lingua cinese (mandarino tradizionale) e dell'arte della calligrafia.
Nel 2021 decide di dare vita alla rivista Spiralis Mirabilis, una rivista dedicata al Taiji Quan (太極拳tàijí quán), al Qi Gong (氣功Qì gōng) e alle arti marziali cinesi in generale, che fosse totalmente indipendente da qualsiasi scuola di arti marziali, con lo scopo di dare vita ad uno strumento di divulgazione della cultura delle arti marziali cinesi.
一口氣。一種武術。一個世界。
Yī kǒuqì. Yīzhǒng wǔshù. Yīgè shìjiè.
龍小五
Un solo respiro. Una sola arte marziale. Un solo mondo.
龍小五
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